
In quel giardino di paese come incantato, seduto al tavolino sotto al palco, ingurgitando musica d’ogni sorta, mi feci un’overdose di birra al doppio malto e te. Col tuo odore acre e intenso e lo sguardo fisso nei miei occhi ad indagare tra gli sproloqui.
Passeggiavamo. Aria da fiera, da festa di provincia. Tavoli ancora non del tutto sgombri dalle famiglie, ragazzi sparpagliati tra i viali, stand della birra, stand per i piatti tipici, noi. Già, noi. Che c’entravamo noi?
Che c’entravamo tra noi, potresti dire. Di certo il segno, la vergine, in comune. E poi la sensazione, quella soltanto mia, di familiarità. Come se ti conoscessi da una vita e, invece, non s’avevano che un paio d’ore di chiacchiera e due di chat. Prese da subito, quella sensazione. Da quando ti ho riconosciuta nella macchina, e subito t’ho riconosciuta.
Per questo, ma, forse, anche, per altro, mi veniva da baciarti. Anzi, più esattamente, da stringerti a me e mi scoprivo incontinente. A te non ho capito ancora cosa girasse, certo ciò che facevi era respingere le avance con gran delicatezza. Del resto a una figura così esile la finezza s’addice.
A proposito, alta e magra, capelli tinti chiari, occhi larghi e dolci, taglio all’ingiù, se ben ricordo, naso un po’ appeso. Stretto, come del resto il viso, ma giusto un po’ troppo sporgente. Quel che basta perché non ti piaccia che te lo si guardi. Elegante, come figura e modi, disinvolta. Bella forse non proprio. Carina, di certo, fuori canone.
Non ti rividi. Conobbi solo il tempo della tua vita virtuale. Ti pensai ogni volta che ti facesti verde su msn. Ti imparai per reportage e commenti. Sfogliai avido i messaggi personali. Ma mi piace ricordare solo di quella sera. Conservo ancora la brocca da cui ci alternavamo a bere. E, inutilmente, per poco, il tuo contatto.